SCATOLE E SCATOLETTE (TRASPARENTI?) PER I NOSTRI CIBI
Quel che non ha potuto fare la civiltà e le associazioni del commercio - che in realtà non si sono dati pena di risolvere il problema, come del resto gli Uffici Sanitari e d’igiene pubblica - hanno potuto farlo le industrie della plastica. Infatti, da qualche tempo, assistiamo sempre meno allo squallido gioco del leccalecca, nel quale chi sta dietro al bancone ti propina la mortadella o la ricotta arricchiti di germi di ogni tipo, passati attraverso quel fugace tocco delle dita sulle labbra (o sulla lingua), per sollevare il foglio in cui avvolgere il prodotto da mangiar crudo.
Adesso, invece, è partita la campagna dei contenitori di plastica trasparente, entro cui deporvi, leggiadramente, il formaggio, le zucchine grigliate e quant’altro si voglia acquistare. Tutto impalpabilmente messo al chiuso e senza essere prima arricchito di proteine animali, per quanto si tratti di animali microscopici.
Tutto bene, allora? Per una persona qualunque andrebbe pure tutto bene, ma non per chi scrive questa rubrica, che va sempre rovistando tra i rilessi di città, portandosi dietro la dichiarata intenzione di trovare qualcosa che non brilli come si deve. Che ne dite, per esempio, di pensare al peso di questi contenitori? Cosa c’entra il peso, voi dite? Allora facciamo un esempio. Comperiamo, solo per finta naturalmente, un etto di prosciutto di Parma, che costa in media 2,5 euro l’etto. La scatoletta di plastica, se piccola, pesa quasi venti grammi, per un costo di circa 50 centesimi. Cioè ci tocca, insieme al prodotto, pagare quel contenitore quasi mille delle vecchie lire. Ecco, signori miei, ciò che non va. Non va che debbano fregarci in questo modo!
E non è finita qui. Perché, al costo impropriamente imposto al povero consumatore, occorre aggiungere i costi che deve sopportare l’azienda di raccolta e smaltimento dei rifiuti, giacché si sa che smaltire un contenitore di plastica costa all’azienda quasi la stessa cifra già spesa da noi. C’è bisogno che vi dica chi finanzia l’azienda dei rifiuti urbani? Ma, perbacco, lo avete già indovinato. Siamo sempre noi!